A trent’anni dalla scomparsa di John Lennon

“Muor giovane chi al cielo è caro”

Menandro

Alle 22,50 del 8 dicembre 1980, a soli quarant’anni, John Lennon veniva ucciso con quattro colpi di pistola alla schiena da un malato mentale di nome Mark David Chapman, a pochi metri dall’ingresso del Dakota Hotel di Manhattan, dove risiedeva. Né la ragazza di costui, né il noto cantante James Taylor avevano preso sul serio i deliri di Chapman: alla prima egli promise che si sarebbe rivolto ad uno psicologo, ma il giorno dopo volò a New York per mettere in atto il suo proposito; il 7 dicembre, arrivato a Manhattan, sbatté contro un muro James Taylor e, in un fiume di parole apparentemente senza senso, gli gridò quel che avrebbe fatto la sera dopo. Se Taylor e la ragazza dello squilibrato si fossero rivolti alla polizia, forse John sarebbe ancora vivo. Chapman fu condannato a venti anni per omicidio premeditato; al suo rilascio sulla parola, per sei volte si è opposta la vedova Lennon, Yoko Ono, e Chapman si trova tuttora in galera.

Come tutti sanno, Lennon fu il co-fondatore di una leggenda chiamata Beatles, quattro ragazzi di Liverpool che agli inizi dei Sessanta diedero il via, tra Amburgo e il Marquee Club di Londra, a una rivoluzione musicale che finì per avere conseguenze inaspettate sulle giovani generazioni di tutto il mondo, sulla cultura, la moda e il costume; un marchio indelebile e profondo nella Storia di fine Novecento che incarnò, forse al di là delle effettive intenzioni dei Fab Four, un’ansia di cambiamento radicale, una frattura insanabile con le convinzioni e i conformismi sociali, politici e istituzionali che avrebbe innescato, dal ’68 alla fine dei Settanta, un decennio di antinomie radicali dagli esiti a volte discutibili, a volte esaltanti. Quando i Beatles si sciolsero, Lennon, che ne aveva rappresentato l’anima più innovativa e sperimentale, intraprese un percorso del tutto inconsueto per le star del tempo, ponendosi con tenacia e convinzione al servizio della causa pacifista: canzoni come Give Peace a Chance e Imagine divennero inni globali di un’utopia, forse irrealizzabile come tutte le utopie ma, ciononostante, meravigliosa e seducente come solo le utopie sanno essere. La follia di un mitomane privò la migliore aspirazione dell’umanità, necessaria per ogni futuro e ogni speranza, della sua voce più nota, generosa e convincente. La lezione di Lennon brilla ancora e sostiene le ragioni dei costruttori di pace che, contro gli stermini compiuti in nome della pseudolibertà e della pseudodemocrazia, combattono e combatteranno sempre per mezzo dell’arma più semplice ed efficace: quella della verità.

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