Rugby. Intervista al ct nazionale Jacques Brunel

ROMA – In occasione della presentazione della formazione che incontrerà domani allo Stadio Olimpico la Francia, abbiamo scambiato due parole scherzose con Jacques Brunel, ct della Nazionale Italiana, cittadino francese, sul perché in Italia il movimento del rugby,  benché decisamente cresciuto in questi ultimi anni, non sia supportato anche dalla crescita della cultura e della divulgazione di questo sport.

La stessa che porta  la Francia e l’Inghilterra ad avere milioni di telespettatori per le partite di rugby anche di campionato, un apparato giornalistico e culturale molto più competente e divulgativo , tante squadre di altissimo livello che hanno grossi introiti anche dagli sponsor,  e un pubblico che segue il torneo 6 Nazioni per la passione di questo torneo a prescindere di chi gioca:

Sa quante persone in Francia hanno seguito Italia/Scozia in tv? Chiede Brunel . Due milioni, più degli italiani. Questo perché c’è una cultura profonda e allargata del rugby in Francia, c’è la tradizione di questo sport, la passione per questo torneo. In  Italia si segue la Nazionale, perché molti sono stanchi del calcio, ma la maggior parte del pubblico segue la nazionale, non il rugby delle squadre locali, non lo praticano.  

Ed è per questa mancanza di cultura, di tradizione e di rugby giocato, che dipende la discontinuità del rendimento sul campo della nostra nazionale? 

La discontinuità secondo me dipende dalla non consuetudine dei nostri ragazzi alla competizione, la non consuetudine alla vittoria, e la difficoltà sta nel dover convincere questi ragazzi ogni volta ad avere le stesse chance dei loro avversari.

E questo dipende dal fatto che gran parte della squadra oggi, gioca in Italia dove non c’è una competizione di alto livello?

No, non dipende solo da questo. Sa quando la Francia è entrata nel 4 Nazioni, con lei poi è diventato 5 Nazioni, era il 1913. Ci sono voluti ben quarant’anni per vincere il primo Torneo. L’Italia è da quattordici anni che è dentro, quindi ci vuole  pazienza, storia, tenacia, crescita … tempo.

Secondo lei, che è qui da qualche anno, per quale motivo in Italia non c’è la cultura che esiste in Francia o in Inghilterra? Forse gli italiani non hanno uno spirito di sacrificio necessario per giocare a rugby?

I numeri fanno la differenza, in Italia ci sono 30.000 tesserati che possono giocare, in Francia 300.000. Dieci volte di più. Questo vuol dire che hai l’opportunità di crescere giocatori di grande qualità, per quanto riguarda il perché non saprei dire il motivo per cui gli italiani preferiscono il calcio, e non credo che dipenda dal fatto che come italiani non abbiano uno spirito di sacrificio. Nella mia carriera ho giocato con tanti bravi colleghi di origine italiana che avevano un grande spirito rugbistico.  

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